Vogliamo aprire questo articolo suelle farchie con un ringraziamento speciale ad Antonio Corrado, “farese d’adozione” che ci ha fornito consigli e informazioni utilissime oltre ad averci dedicato il suo tempo. Grazie anche alla gentile e disponibile Serena Di Fulvio e a tutti i faresi per l’incantevole accoglienza.
In memoria del fuoco sacro
Fara Filiorum Petri (Chieti) ospita ogni anno la suggestiva festa delle Farchie in onore di Sant’Antonio Abate. Il termine “fara” ricorda l’origine longobarda del paese (VII secolo), con il tipico insediamento su base famigliare e militare. L’aggiunta “filiorum Petri” si deve alla presenza di monaci celestini nel vicino convento di Sant’Eufemia, che si facevano chiamare “figli di Pietro”.
Il rito delle farchie è relativamente giovane, poiché risale a circa 200 anni fa; eppure il suo retaggio è antico di millenni, legato all’usanza di accendere grandi falò per esorcizzare il male e propiziare il raccolto. Al fuoco è affidato il compito di scaldare e illuminare la terra, in attesa che il sole torni a trionfare sul freddo dell’inverno.
La festa delle farchie si colloca in un periodo di passaggio, a metà strada tra le celebrazioni natalizie e i goliardici eccessi del Carnevale.
Sant’Antonio “il nemico del demonio”
Il 16 e 17 gennaio in tutto l’Abruzzo (e non solo) si accendono grandiosi falò in onore di Sant’Antonio Abate (detto anche Sant’Antonio di gennaio). Il santo nato in Egitto nel 251 è il simbolo per eccellenza della lotta contro il male. Per tutta la vita egli dovette combattere le tentazioni demoniache, rappresentate dal maiale che lo accompagna nell’iconografia insieme all’attributo del bastone da eremita.
Il culto del santo iniziò subito dopo la sua morte, e già nel IV secolo approdò in Italia dove venne plasmato secondo i costumi locali. Il cambiamento più importante riguardò proprio il maiale che acquisì valenze positive. È facile comprendere tale cambiamento se si pensa all’importanza che il suino aveva (e ha tuttora) nelle comunità agro-pastorali (“del maiale non si butta via niente”). Altra novità fu l’aggiunta della fiammella, simbolo del trionfo di Sant’Antonio sul fuoco dell’inferno.
Tra storia e leggenda
Le farchie di Fara Filiorum Petri prendono origine da un miracolo attribuito proprio a Sant’Antonio. Correva l’anno 1799 e l’Abruzzo era assediato dalle truppe francesi di Napoleone. I soldati tentarono di entrare a Fara, ma furono fermati Sant’Antonio che, apparso nelle vesti di un generale, trasformò gli alberi del vicino querceto in enormi fiamme, riuscendo a spaventare e disperdere i soldati. Secondo un’altra versione, decisamente più epica e fantasy, le querce si trasformarono in giganteschi guerrieri armati di spade fiammeggianti.
Dietro la leggenda s’intravede un fatto storico. Secondo le fonti ufficiali, a incendiare il bosco non fu un intervento divino bensì l’azione di un gruppo di briganti decisi a resistere all’invasione francese. La banda, capitanata da Giuseppe Francione detto “Il Sergente”, bloccò l’avanzata con un fuoco di sbarramento in contrada Colli, incendiando il querceto intorno a Fara. I francesi desistettero ma pretesero un indennizzo di guerra che fu pagato dai notabili della zona.
L’antefatto storico non nega la possibilità di credere nel miracolo. Prodigioso o no, quell’incendio salvò Fara Filiorum Petri dalla distruzione e l’accensione delle farchie ne rievoca ogni anno il ricordo.
Quelle enormi torce chiamate farchie
Inizialmente le farchie erano poco più grandi di una normale torcia, ma le dimensioni aumentarono a dismisura dal 1899 in occasione del centenario dell’evento. Il termine farchia deriva dal dialetto farchjié che indica la canna palustre usata per impagliare le sedie e bruciare le setole del maiale.
Le farchie sono grandi fasci di canne tenute insieme da rami di salice rosso, legati con nodi fatti ad arte. I numeri sono da record: ogni farchia è formata da circa 2000 canne, ha un diametro di 80-100 centimetri e l’altezza può superare gli 8 metri, quanto al peso oscilla intorno ai 6-7 quintali. Ogni contrada di Fara costruisce la sua farchia, dedicandosi alla preparazione e ritrovandosi in un rito che avvicina persone e intere comunità.
La realizzazione della farchia non è che il coronamento di un intero anno di preparativi, iniziato in primavera con la raccolta delle canne e cadenzato da momenti fondamentali come la potatura dei salici nel mese di dicembre. La competizione tra le contrade è alta, ma mai come in passato quando, in barba a qualsiasi norma di sicurezza, l’altezza delle farchie poteva raggiungere i 20 metri.
La preparazione delle farchie
La preparazione vera e propria inizia verso il 7 gennaio, con un primo fascio di canne essiccate messe insieme a comporre l’anima della farchia. Attorno a essa si esegue il “rinfascio” aggiungendo le canne più grosse e levigate. I giunti tra i segmenti vengono abilmente nascosti sotto i grandi nodi dei legami, in modo che ogni canna appaia unica dalla base fino alla cima. La maestria sta nell’ottenere una perfetta verticalità e l’assenza di rigonfiamenti, tant’è che se la farchia “fa le panze” viene derisa da tutte le altre contrade.
Il prodotto finito è un alto fusto perfettamente liscio e simmetrico simile a una colonna, con la parte superiore riempita di paglia e aperta a “garofano”. La farchia è un vero e proprio capolavoro d’artigianato, un pezzo unico creato da mani sapienti e appassionate. Con la sua forma fallica, la farchia simboleggia la forza maschile e rappresenta una sorta di rito d’iniziazione per i più giovani. Attorno alla farchia ci s’incontra e si socializza, si rivedono i vecchi amici tornati apposta per l’occasione, si mangia e si beve, lavorando sodo per perpetrare l’antica tradizione.
Vino e canzoni prima della partenza
Al nostro arrivo a Fara Filiorum Petri siamo state accolte dalla straordinaria accoglienza dei faresi, in particolare da Piero Larovere e Richi De Ritis che hanno risposto ad alcune delle nostre domande. Abbiamo avuto l’onore di conoscere anche Gigino Fanella, capofarchia di Fara Centro che con i suoi 83 anni e la sua grinta incarna alla perfezione lo spirito delle farchie.
Prima della partenza un buon pasto è d’obbligo! Davanti alla farchia adagiata c’è una tavola imbandita con prelibatezze a base di zucca, patate e salsicce, il tutto a offerta libera per abitanti e visitatori. Non può mancare lu Sant’andone tipico vassoio di dolci locali come caviciun, tarallucci, mostaccioli e il gustoso serpentone. E naturalmente vino e vin brulè come se piovesse!
Quando tutti sono sazi, ci si raduna in cerchio accanto alla farchia per intonare i canti e le litanie in onore di Sant’Antonio. Non mancano le sorprese, come una proposta di matrimonio in piena regola sotto uno scroscio d’applausi e lo sguardo emozionato della futura sposa.
Trasporto e alzata delle farchie
Verso le 14,30 si è pronti per la partenza. Venti uomini (dieci per lato) si caricano in spalla la pesante farchia e si avviano verso il piazzale di ritrovo, percorrendo le vie del paese a passo di marcia e sotto gli incitamenti della folla. Oltre a Fara Centro, le contrade di Giardino e Madonna del Ponte trasportano la farchia a spalla, mentre le altre le trainano con un trattore. Una alla volta le farchie arrivano nel piazzale del cimitero, davanti la chiesetta di Sant’Antonio Abate costruita nel 1947. Sono in totale sedici, tredici delle contrade più tre piccole “farchiette” costruite dalle scolaresche – il testimone è così passato alle nuove generazioni.
È adesso che inizia la parte più difficile e delicata: l’alzata delle farchie. È una procedura davvero faticosa, si osserva lo sforzo degli uomini e si percepisce la loro determinazione a innalzare quel pesante “totem” frutto dell’impegno collettivo. Ne va del loro lavoro e del loro onore di farchiaioli. Grida di gioia e liberazione esplodono nel momento in cui la base della farchia resta in equilibrio sul selciato, decretando la riuscita della procedura.
L’esplosione della festa
Una a una le farchie si innalzano come enormi colonne di un tempio invisibile, svettando sul cielo all’imbrunire. Ora che tutte le farchie sono in piedi si può dare inizio alla fase più spettacolare della cerimonia: l’accensione. Ogni farchia viene “chiamata” e accesa tramite una miccia collegata a dei mortaretti, che esplodono a spirale intorno al fusto fino a incendiare la sommità.
Per rendere ancor più scenografica l’accensione, alcune contrade mettono delle girandole di fuochi d’artificio in cima alla farchia, mentre altre la incendiano con il metodo antico, mediante una lunga canna usata a mo’ di fiammifero. Torna un altro aspetto della tradizione: il rumore come elemento apotropaico per tenere lontani gli spiriti maligni. E alcuni botti sono stati talmente forti che nessun fantasma o demone avrà voglia di importunare i faresi per un bel po’!
Così, in un tripudio di luci e gioioso frastuono, si accendono tutte le farchie, diventando enormi fiaccole lucenti nel buio della sera. E, in effetti, non è difficile vederci dei maestosi alberi in fiamme, come quelli del famoso miracolo. Le farchie arderanno tutta la notte fino all’alba del 17 gennaio, quando le braci saranno benedette insieme al pane di Sant’Antonio da distribuire a persone e animali.
Di tutta la dedizione, la pazienza, la perizia e la fatica non resta, alla fine, che un mucchio di cenere – non è forse la metafora della vita? La meravigliosa arte delle farchie viene distrutta dal fuoco purificatore per poter risorgere l’anno successivo e ripetere così la tradizione, con un fervore romantico e uno sconfinato amore per le proprie radici.
Per approfondire:
Tradizioni a confronto: i Faugni di Atri
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