Storia del cappello a punta

Storia del cappello a punta

Nel nostro immaginario collettivo il capello a punta ci fa pensare automaticamente ad un mago o una strega. Ma perché proprio quello e non un altro tipo di copricapo, ve lo siete mai chiesto? Continuate a leggere se siete curiosi/e di scoprirlo…

Una storia antica

Per scoprire le origini del cappello a punta dobbiamo tornare indietro di qualche millennio, quando sacerdoti e religiosi indossavano un lungo copricapo per comunicare con le divinità di riferimento. Tale cappello era probabilmente considerato una sorta di “antenna” per connettersi col soprannaturale, un canale di comunicazione preferenziale che puntava dritto verso il cielo, ove dimoravano le divinità. Gli esempi a livello archeologico sono numerosi, ma i più emblematici sono i reperti provenienti dalla Sardegna e dall’antica Etruria (fig. 1). Si tratta dei bronzetti della cultura nuragica raffiguranti sacerdoti con lunghe trecce e copricapo a punta e reperti dello stesso materiale che rappresentano i celebri aruspici. Questi ultimi erano sacerdoti esperti nella divinazione tramite la lettura delle viscere degli animali sacrificati, molto noti e apprezzati nell’antica Roma. Questi straordinari reperti hanno in comune, appunto, la particolarità del copricapo.

Fig. 1 bronzetto nuragico e bronzetto etrusco

Un altro esempio celebre è il berretto frigio, usato fin dal VI secolo a.C. dai sacerdoti dell’Antica Persia (fig. 2), i famosi magi da cui deriva la parola mago che significa “sapiente”. Non è un caso se lo stesso significato etimologico lo ritroviamo nel termine inglese “witch” (strega) che deriva dal sassone “wicce”, ovvero “saggio, sapiente”.

Fig. 2 mosaico ravennate dalla Basilica di S. Apollinare Nuovo; i tre re magi indossano il berretto frigio di colore rosso

Dai templi… alle aule processuali

Finché parliamo del mondo antico, quindi, possiamo affermare che il cappello a punta godeva di fama e rispetto, e di quel pizzico di timore reverenziale che non guasta mai. Ma è con l’affermarsi del Cristianesimo che le cose si complicano. Sì perché la Chiesa nei primi secoli della sua affermazione come istituzione politica e religiosa, si trova ad affrontare la concorrenza dei culti pagani ancora molto radicati in alcune aree e zone di campagna. Lo stesso termine paganesimo deriva dai “pagi” – cioè villaggi – sparpagliati nelle aree più interne dei territori lasciati in eredità dall’Impero Romano.

È un termine usato dai cristiani per indicare, in senso dispregiativo, chi nel contado professava ancora i culti antichi considerati blasfemi e barbarici. E se è vero che molte tradizioni e feste furono in realtà sincretizzate, cioè assorbite nel calendario cristiano, molte altre vennero contrastate e sradicate. Numerosi riti e simboli finirono nel calderone della propaganda anti-pagana, privati del loro significato o addirittura ribaltati in chiave negativa. Basti pensare al simbolo delle corna, un tempo sinonimo di forza, vigore e fertilità, trasformato nel principale attributo di Satana, del Male in persona.

La stessa sorte venne riservata al cappello a punta che durante il Medioevo assunse gradualmente un significato nefasto, di umiliazione ed emarginazione. È il caso del cappello giudaico (fig. 3) chiamato anche “pileus cornutus”, un copricapo appuntito che venne imposto agli Ebrei da Papa Innocenzo III durante il Concilio Lateranense del 1215 come segno di riconoscimento per poterli distinguere dai cristiani. Forse gli Ebrei indossavano già prima questo cappello derivato dal berretto frigio, ma è certo che da quel momento diventerà simbolo tangibile della loro discriminazione. Cose non belle insomma…

Fig. 3 fonti medievali che rappresentano gli Ebrei con indosso il pileus cornutus

Fra dame modaiole…

Eppure, proprio durante il Medioevo un cappello simile è stato usato come accessorio di moda all’ultimo grido. Stiamo parlando del dell’hennin (fig. 4) un cappello a cono indossato fra 1300 e 1400 dalle dame di mezza Europa. Originario delle Fiandre e probabilmente derivato dai cappelli delle donne mongole portati in Occidente dal buon Marco Polo. Questo cappello a punta poteva raggiungere i 90 cm di altezza ed essere arricchito da un vezzoso velo lungo anche fino ai piedi.

Fig. 4 esempi di hennin da dipinti medievali; ritratto di donna con il boqta, tipico copricapo mongolo

Non vi ricorda qualcosa? Guardatelo bene… L’hennin è diventato il copricapo tipico di soavi principesse e fate buone che troviamo nel mondo delle fiabe (fig. 5), praticamente l’antitesi della perfida strega. Di certo non è un caso se si considera che l’hennin era espressione di un ceto sociale elevato, di nobili dame ricche ed istruite. Tutto l’opposto, insomma, delle umili popolane che spesso non avevano mezzi per difendersi da calunnie ed accuse di stregoneria. In questa categoria di donne troviamo le celebri ale-wifes…

Fig. 5 esempi di fate rappresentate con l’hennin

…Ed abili imprenditrici

Le ale-wifes – o ale wive, letteralmente “donne della birra” ovvero “birraie” – erano produttrici e commercianti di birra inglesi, che spesso avevano attività presso osterie o banchetti in strada – una specie di street food ante litteram! Esse indossavano vesti scure e un caratteristico cappello a punta che serviva probabilmente per renderle facilmente visibili nel caos del mercato, una sorta di insegna pubblicitaria indossabile che permetteva ai clienti di rintracciarle nel mezzo della folla (fig. 6). Erano donne economicamente indipendenti, spesso vedove che si erano dovute reinventare dopo la morte del marito o addirittura nubili e perciò facili bersagli dell’oscurantismo religioso di matrice protestante.

Fig. 6 ritratto di Mother Louse, famosa alewife vissuta ad Oxford nel 1600

Siamo agli albori dell’Età Moderna, un’epoca paradossalmente più oscura del povero, bistrattato Medioevo. Basti pensare che il “periodo d’oro” dell’inquisizione e della cosiddetta caccia alle streghe va dall’inizio del 1500 fino alla metà del 1700. Anche le nostre povere ale-wifes furono prese di mira, accusate di adulterare la birra con erbe e veleni vari. È un’accusa che ritroviamo spesso nei verbali dei processi per stregoneria, mossa soprattutto contro donne che in realtà erano guaritrici e ostetriche. Così il vestiario delle birraie inglesi – cappello incluso – venne lentamente associato ad un’idea di malvagità e dissolutezza, diventando simbolo della strega cattiva per antonomasia. Questa immagine venne poi cristallizzata da stampe e illustrazioni di epoca vittoriana (fig. 8), andando a influenzare l’immaginario collettivo che abbiamo ancora oggi.

Fig. 7 “Il tribunale dell’inquisizione” di Francisco Goya (1819)

Fig. 8 esempi di stampe d’epoca vittoriana (seconda metà XIX secolo)

Un lieto fine

Quanto al cappello a punta, lo ritroviamo ancora nel Novecento usato come simbolo di umiliazione e penitenza. Basti pensare al celebre cappello da somaro appioppato agli scolari indisciplinati messi in castigo nell’angoletto e usato fino agli anni ‘60 – se non addirittura fino agli anni ‘80 – o al capirote (fig. 9) indossato ancora oggi dai membri delle confraternite cattoliche durante la Settimana Santa in segno di penitenza.

Fig. 9 capirote indossato durante una processione del Venerdì Santo

Dunque l’immagine della strega fissata dagli artisti nell’Ottocento è stata ripresa dalla Cultura Pop che ne ha fatto una vera e propria icona grazie ai personaggi di film, libri, serie TV e cartoni animati. Ed è proprio grazie a questi personaggi così amati dal pubblico che la figura della strega – e del mago – è stata in qualche modo riabilitata, collegata sì ad atmosfere magiche e misteriose, ma senza quell’aura di malvagità che l’ha accompagnava ingiustamente per troppo tempo.

Ed è anche il motivo per cui oggi è possibile indossare un cappello a punta senza rischiare di essere linciati/e dalla folla inferocita…!

Fig. 10 esempi di maghi e streghe che abbiamo imparato ad amare, da sinistra: Harry Potter e la professoressa McGranitt, Mago Merlino della Disney, Gandalf de Il signore degli anelli

Grazie per aver letto l’articolo, spero vi sia piaciuto. Vi lascio, come al solito, i link per gli approfondimenti e quelli del reel dove racconto in breve – e con un abito a tema – ciò che avete letto per esteso qui sul blog.

Ci vediamo al prossimo articolo!

NB: tutte le immagini presenti nell’articolo sono prese dal web, selezionate tra quelle per il libero utilizzo


Per approfondire:

Bronzetti nuragici ed etruschi a confronto

La “donna di Teti”

Cappello giudaico

Libro: Il cappello a punta. L’ebreo medievale nello specchio dell’arte cristiana di Blumenkranz

Reel su Instagram:

Cappello a punta pt. 1

Cappello a punta pt. 2

Menu