Halloween, una tradizione italiana – quando la zucca era una rapa

Halloween, una tradizione italiana – quando la zucca era una rapa
di Roberta Tinarelli

Come diremmo dalle nostre parti “Halloween l’ha sempre fatto”.

Sì, perché quella che riteniamo una festa americana, un prodotto importato da oltreoceano, è in realtà una tradizione radicata nella cultura italiana ed europea. Vogliamo raccontarvi le origini della festa dei morti, un’usanza molto più antica di quanto pensiamo.

L’antico Capodanno celtico

Per (ri)scoprire le origini di Halloween dobbiamo partire dal IV secolo a.C., quando la cultura celtica era diffusa in gran parte d’Europa. Dalla loro area d’origine (compresa tra Svizzera, Francia e Germania), i Celti raggiunsero ogni angolo del continente, dalle Isole Britanniche all’Italia settentrionale, dalla Penisola Iberica alla Grecia, fino ai Balcani e l’Anatolia (attuale Turchia).

Tra le usanze più diffuse vi era la celebrazione di Samhain, il Capodanno celtico che cadeva la notte tra il 31 ottobre e il 1° novembre. Dato che la ricorrenza era fortemente legata al culto degli antenati, i Romani pensarono bene di assimilare Samhain alla loro festa dei morti: i Lemuria, celebrati tra il 9 e il 13 maggio.

Samhain
La ruota dell’anno in un’opera tratta da un museo della Cornovaglia

Fu la Chiesa cattolica a ripristinare il giorno originario del Capodanno celtico. Inizialmente reintrodotta come celebrazione di Ognissanti dai Franchi intorno al IX secolo, fu poi ufficializzata da Papa Sisto IV che la fissò al 1° novembre nel 1475. Tale mossa serviva a sradicare i culti pagani sopravvissuti alla caduta dell’Impero Romano, assorbendoli nel calendario liturgico cristiano. Il quadro fu completo quando, nel 998, l’abate di Cluny fissò al 2 novembre la Commemorazione dei defunti, accolta definitivamente dal rito romano nel XIV secolo.

L’ultima parte della storia risale alla metà del XIX secolo, quando gli Irlandesi emigrati negli Stati Uniti esportarono riti e usanze nel Nuovo Mondo. Halloween ebbe un immediato successo, tanto da diventare una delle ricorrenze più amate dagli Americani. L’antica festa dei morti si trasformò in un fenomeno di massa, riducendosi a mero consumismo a scapito del significato originale. È a causa di questa metamorfosi che la memoria si è assopita, mostrandoci Halloween come qualcosa di alieno ed estraneo alle nostre radici.

Da dove viene la parola Halloween?

Vi starete chiedendo come ha fatto la parola Samhain a trasformarsi in “Halloween”. Il termine deriverebbe dalla contrazione di All Hallows’ Eve ovvero “vigilia di Ognissanti” (Hallow in inglese arcaico significa “santo”) in Hallows’ Eve operata dal poeta scozzese Robert Burns nel 1785. Paradossalmente, quindi, la parola Halloween avrebbe un significato tutt’altro che “demoniaco”, bensì propriamente cristiano.

Esiste poi una seconda versione, ormai screditata, che qui riportiamo per dovere di cronaca. Questa chiama in causa il termine inglese per scavare – to hollow, da cui deriverebbe hollowing e quindi Halloween – e la leggenda di Jack O’ Lantern, il fabbro irlandese che, tentando d’ingannare il diavolo si ritrovò ingannato a sua volta. In seguito a una sfida con Satana, egli ottenne la salvezza per la sua anima, senza sapere che quello che sembrava un premio era in realtà una terribile maledizione.

Jack O Lantern

Quando morì, infatti, Jack fu respinto sia dal paradiso che dall’inferno e condannato a vagare per l’eternità sulla terra. Lo sventurato chiese al diavolo un gesto di clemenza, ottenendo in cambio un tizzone ardente che mise in una rapa scavata e intagliata. Da allora Jack brancola nelle tenebre alla fioca luce della sua misera lanterna.

Un significato profondo

L’antico Capodanno celtico rappresentava un importante momento di passaggio, legato alla concezione ciclica del tempo e dell’esistenza. Samhain (letteralmente “la fine dell’estate”) coincideva con il terzo e ultimo raccolto a conclusione dell’anno agricolo. La natura andava a morire per poter in seguito rinascere, le ombre erano necessarie per generare nuova vita.

Nella ruota delle stagioni, fine e inizio venivano a coincidere, creando un contatto tra il regno della materia e quello dello spirito. Il confine tra mondo dei vivi e mondo dei morti si assottigliava fino a scomparire, e durante la “notte del ritorno” le anime dei defunti varcavano la soglia per trascorrere alcune ore sulla terra.

Per gli antichi, i defunti erano entità protettrici della famiglia e custodi della fertilità del terreno; libagioni e banchetti funebri servivano per ingraziarsi il loro favore e propiziare il raccolto. Gli spiriti erano considerati intermediari tra gli uomini e le divinità, mentre i loro vicari sulla terra erano poveri e bambini. A questi, il 1° novembre, erano elargite piccole offerte simbolicamente destinate alle anime.

banchetto per i morti
Scena di banchetto funebre da una tomba etrusca di Tarquinia

Il culto dei morti non è semplice superstizione, ma rappresenta un elemento di grande valenza antropologica comune a tutte le culture del mondo. Attraverso riti e cerimonie collettive, la paura della morte viene esorcizzata e trasformata in un concetto accettabile, al pari di qualsiasi altro fenomeno naturale.

La festa dei morti in Italia

Le usanze italiane derivate da Samhain sono innumerevoli e diffuse da nord a sud. Fanno parte del nostro DNA culturale, sedimentate attraverso i secoli e tramandate dal mondo contadino. Nonostante lo scorrere del tempo, lo spopolamento delle campagne e gli effetti della globalizzazione, qualcosa è rimasto, sopravvissuto alla progressiva perdita di memoria.

Cominciamo dal simbolo per eccellenza di Halloween: la zucca. In origine, nella notte di Ognissanti, c’era l’usanza di intagliare rape o cipolle per ricavarne lumini in ricordo delle anime del Purgatorio. Una volta esportata in America, la rapa cadde in disuso, sostituita dalla più diffusa e malleabile zucca arancione, adottata successivamente anche in Europa.

rapa
Esempio di rapa intagliata

Dalle cocce priatorje (teste del purgatorio) pugliesi, ai coccalu di muortu (teschio di morto) calabresi, fino alle lumère o suche dei morti di Friuli e Veneto, le gare per aggiudicarsi il titolo di “zucca più bella” sono un classico in tutta Italia.

La fiamma della candela non serve solo ad animare le facce ghignanti delle zucche, ma anche a illuminare la strada ai defunti. Ancora oggi, in molte città e paesi, viene lasciato un lumino fuori dalla finestra o sulla soglia di casa, affinché gli spiriti dei cari possano ritrovare la loro antica dimora.

Come ogni lungo viaggio che si rispetti, anche quello dei defunti prevede una sosta ricreativa. Per questo alcune famiglie hanno la premura di lasciare la tavola apparecchiata durante la notte, con tanto di piatto di pastasciutta e bicchiere di vino. Quest’offerta simbolica deriva dall’usanza romana di lasciare cibo sulle tombe degli avi il 21 febbraio, in occasione dei Feralia (ultimo giorno dei Parentalia).

L’uso di maschere e travestimenti non è una trovata americana ma risale al Medioevo, quando si pensava che indossare i panni di un essere sovrannaturale fosse di buon auspicio – esattamente come avviene nel Carnevale.

Festa dei morti
Pulcinella abruzzese all’evento “La tavola dei morti” di Spoltore (PE); questo personaggio è considerato il tramite col regno dei morti

Dolci dell’altro mondo

E allora dolcetto o scherzetto? Mi dispiace deludervi, ma anche la famosa filastrocca è “roba vecchia”! La formula è diffusa in tutta Italia nelle varanti tipiche di ogni regione e dialetto, usata dai bambini per riscuotere le offerte in favore dei morti.

Per citare solo alcuni esempi: mi lu pagati lu coccalu? (me lo paghi il teschio?) in Calabria, carki cosa po sas ànimas (qualcosa per le anime) in Sardegna o il più minaccioso damm l’anma i mort, ca snnò t sfasc la porta (dammi l’anima dei morti che se no ti sfascio la porta) pugliese.

Se pensate che la mela candita e i marshmallow siano l’unica leccornia tipica di Halloween, vi sbagliate di grosso. La tradizione dolciaria italiana per la festa dei morti è così vasta che servirebbe un altro articolo per raccontarla. I dolcetti più diffusi e comuni a tutta la penisola sono le fave dei morti, biscotti un po’ tozzi cosparsi di zucchero a velo, fatti con ingredienti semplici ma gustosi (all’originaria e simbolica fava è sostituita la farina di mandorle).

fave dei morti
Le fave dei morti (foto di Roberta Tinarelli)

Lo stesso impasto caratterizza le ossa dei morti, con la differenza che la loro forma ricorda quella di un dito scheletrico e la consistenza è più dura e croccante. Per questo è necessario aspettare qualche giorno prima di consumarli, così da farli seccare per poi inzupparli in un bel bicchiere di vino rosso. Se volete cimentarvi nella preparazione dei dolcetti e portare avanti la tradizione, potete cliccare qui per trovare la ricetta.

Capetièmpe d’Abruzzo

L’Abruzzo vanta un ricco repertorio di pratiche ancora in uso, retaggio della tradizione agreste. Qui la componente celtica si è mescolata alla religione dei Sanniti, l’antico popolo che abitava la regione prima della conquista romana.

Il collegamento col passato è così forte che Halloween qui è chiamato Capetièmpe (Capotempo). Il capodanno contadino è un periodo di dodici giorni che va dalla vigilia del 31 ottobre all’11 novembre, giorno di San Martino.

In Abruzzo la zucca è chiamata chècocce, mentre la versione intagliata prende il nome eloquente di cocce de morte (testa di morto). La tradizione è particolarmente viva in alcuni paesi dell’entroterra, come Raiano, Prezza e Serramonacesca (PE); quest’ultimo borgo organizza ogni anno la sagra della zucca col titolo evocativo di L’aneme de le morte, come la frase pronunciata dai bambini in cerca di doni.

Anche nella Valle Peligna sopravvivono molte usanze, soprattutto a Pratola e Pettorano sul Gizio. Prima dell’arrivo dei costumi di plastica comprati al supermercato, i bambini andavano di casa in casa con le facce sporche di cenere, calce o farina – come dei piccoli fantasmi – riscuotendo le bene, un’offertaincibo o monete simbolicamente destinata alle anime dei morti.

Halloween
Zucche intagliate dall’artista Michael Jastremski

Se da un lato alcune tradizioni sono giunte ai nostri giorni, molte altre purtroppo sono andate perdute. Un esempio su tutti è il rituale che si svolgeva a Sulmona (AQ), caratterizzato dalla fusione tra elementi tipicamente pagani (danze, banchetto funebre) e usanze cristiane (messa, sacra rappresentazione). Di questa funzione, soppressa agli inizi del Novecento, resta una traccia molto vaga nella moderna processione che attraversa la città per raggiungere il cimitero.

È proprio con una processione che voglio chiudere l’articolo, lasciandovi con una sana dose d’inquietudine.

A Introdacqua (AQ) si narra che la notte di Ognissanti il paese è attraversato dalla Scurnacchièra, un lugubre corteo di spettri. Destate dalle loro tombe, le anime dei defunti avanzano silenziose verso la chiesa principale, per assistere alla messa celebrata da un sacerdote fantasma. Il tepore del ricordo della vita dura poco; alle prime luci dell’alba il corteo rientra al cimitero; aprono la strada le anime dei nati morti, seguite dai bambini battezzati, dai giovani, dagli adulti, dai vecchi e, infine, dai preti.

Abruzzo
Il borgo di Introdacqua

Il nome della processione deriva dalla cornacchia che nella tradizione popolare è considerata messaggera del regno dei morti, portatrice di presagi sia nefasti che positivi. Quando risuona la filastrocca teri teri tera, e mo’ passa la Scurnacchiera bisogna chiudersi in casa, resistendo alla curiosità di guardare dalla finestra. I vivi non possono incontrare la processione; chi s’imbatte nella Scurnacchièra entra immediatamente a farne parte.

Halloween è una festa (anche) italiana, mettetevelo nella zucca!


Per approfondire:

Le vere origini di Halloween

Dolci italiani per la festa dei morti

Sagra della zucca di Serramonacesca

NB: tutte le immagini presenti nell’articolo sono prese dal web, selezionate tra quelle per il libero utilizzo

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